2 Maggio 2023
Opera Taormina: 123 anni fa la prima di un melodramma attuale ieri come oggi.
Tosca, opera discussa, amata, invidiata, nel suo titolo Lei, Floria Tosca, forza granitica, passionale è sul palco inarrestabile.
Il commento dell'esperto
A Taormina tornano le stelle dell’opera, con Hui He assoluta protagonista nel ruolo di Tosca. Al Teatro Antico vivrà ancora il dramma della sfortunata cantante romana. Ricordando il melodramma di Puccini è impossibile non approfondire il personaggio: tutto passa in secondo piano in Sua presenza, conoscendo bene “l’arte di farsi amare”, vivendo l’impeto amoroso a tal punto da non farsi scrupoli ad alzare i toni persino presso la Chiesa di Sant’Andrea della Valle, toni accecati dalla gelosia avversi il suo amato Mario, pittore “distratto” che non accortosi raffigura l’Attavanti nei panni della Maddalena, dipingendovi un occhio che non è il suo.
Dal desiderio di dare i propri occhi ad una Santa, l’autore primigenio Victoire Sardou, di Tosca ne mostra poi lo sguardo, ora pietoso di chi chiede una grazia al vecchio Barone Scarpia (baritono), ora quello di chi non si fa nessuno scrupolo nell’ infliggergli il colpo fatale con un coltellaccio sentendo però l’esigenza di porvi sul cadavere un crocifisso tratto dall’interno dello studio, così mostrandovi la propria misericordia. Floria, col morto per terra vi pone due candelabri e poi si sofferma ad ammirare un quadro, successivamente dicendo dell’assassinato: “Davanti a lui tremava tutta Roma” (stavolta tremerà anche tutta Taormina), mostrando un savoir-faire sconvolgente dove però anche l’uomo più potente è sempre fragile dinnanzi all’esistenza terrena. Nel corso dell’opera avrà sempre qualcosa da dire, anche prima di lasciarsi cadere giù, nel vuoto, lanciandosi dai muraglioni di Castel Sant’Angelo, stavolta rappresentati in uno dei luoghi più affascinanti della storia: il Teatro Antico di Taormina. Anche in questo frangente non renderà vana l’occasione di lanciare l’ultima sfida, così con la celeberrima frase espressa con voce rotta dirá: “Scarpia, avanti a Dio”.
Soggetto dunque volitivo quello della protagonista, ampio, dall’inquadramento psicologico che non lascia spazi vuoti ma piuttosto si espande sulla scena, relegando gli altri personaggi quasi ad un corollario, nonostante le tante profonde verità che dietro ciascuno si celino.Il tema è più che mai attuale, essendo la donna e la sua oggettificazione il volano della vicenda. Scarpia, infatti, non nutre sentimenti profondi alcuni, piuttosto esprime mera morbosità sessuale verso Floria. Questo, che dovrebbe vivere il conflitto col suo ufficio di capo della polizia, oltre che etico, è in verità disposto a tutto tanto da accettare per un solo incontro sessuale il compromesso di riservare a lei ed al suo amato un salvacondotto per Civita Vecchia, così canterà “Se la giurata fede debbo tradir, ne voglio altra mercede. Quest'ora io l'attendeva!”, ed ancora “Già mi struggea l'amor della diva! Ma poc'anzi ti mirai qual non ti vidi mai!”, designando il fascino gravitato da Lei in quanto celebrità. La figura del Barone Scarpia è introdotta con alta simplicitate, affidando al solo linguaggio musicale la descrizione di questa ambientazione apparentemente innocua, poi violenta ed angusta, dunque archi e legni che poi ascendono drammaticamente ad un climax reso da un tutto di ottoni nei momenti di alta tensione drammatica. Claudio Sartori ne dirà: “L’abilità del musicista, l’esperimento suo più riuscito in quest’opera, che è tutto un difficile esercizio, sta nel farci sopportare un dramma della piú truce brutalità, senza che al momento se ne avverta qualche fastidio poiché tutto viene superato e condotto con una logica apparentemente così ferrea da non permettere dubbi di sorta, mentre il personaggio Tosca tramuta la sua sostanza grossolanamente teatrale in un ritratto musicale della più squisita finezza”.
Certo non fu semplice per il Giacosa portare il dramma di Victorien Sardou in un libretto d’opera, dello stesso avviso ne fu Mosco Carner che ne ebbe a dire: <<Cavaradossi, come rimprovera Giacosa, non è che “il Signor Tenore”, ma non può essere altro al cospetto di colei che come una virago gli succhia quel po’ di sangue che aveva in corpo. Se gli è permesso cantare due splendide romanze lo è soltanto per far riposare un attimo quel temporale di donna o per permetterle un’entrata di grande effetto>>. La Tosca dunque questo è, un dramma scarno, ricco di azione dove Puccini sente di assecondare la propria voglia compositiva, tal volta ponendo digressioni e luci su particolari marginali al funzionamento del dramma, si vedano ad esempio il momento in cui Angelotti scappa, la ricerca della chiave, il paniere del cibo, moltissimi leitmotiv intessuti in una maglia melodica ben salda, ben collegata, con un uso ottimale delle prestazioni organologiche dell’orchestra, dove peculiarmente emerge la maestria nell’uso dei violoncelli, punte di diamante caratterizzanti quest’opera. Contrariamente a quanto ebbe ad asserire Mahler, in un’aspra critica contenuta in una lettera destinata a sua moglie, la Tosca non si riassume in scampanii e “fattacci”, non è nemmeno mero verismo musicale, piuttosto come ebbe a scrivere Siciliano sulla scia di quanto asserito dal Verney della Valletta <<Questa “maniera” è la qualità essenziale dell’opera, il suo tessuto stilistico, quello che ne fa un testo per nulla veristico e che svela, al di sotto del grand-guignol di Sardou, il disperato amore per la vita che Puccini, sempre più affogato nei suoi ozi tristi, soffriva>>. Come summenzionato i soggetti esterni al personaggio Tosca non hanno focus introspettivi tali da riportarci ad un verismo o naturalismo musicale, piuttosto lo spettatore è pienamente rapito dal personaggio principale essendone influenzato a tal punto da non dubitare nemmeno per un attimo da quale parte stare.
In quest’opera il sopruso è classificato come tale e tutti i mezzi, quasi in un machiavellismo, sono giustificati per liberarsene. La texture dell’intero lavoro non si evince quale tematica ma piuttosto legata a motivi che non ritrovano degli sviluppi consistenti ma ai quali vengono piuttosto applicate variazioni di tipo timbrico-armonico così discostandosi anche dallo stile Wagneriano. Il lessico musicale è a tratti semplice, se pure di grande effetto, si guardi ad esempio al Te Deum dove il terzinato suon di campane apre la scena e rende l’idea di una ripresa alla vita ecclesiastica libera dal timore costituito da Napoleone Bonaparte, che si crede ora sconfitto, dunque vi s’intesse sopra il pensiero di Scarpia che sovrasta e rende la sua alienazione, il suo pensiero fisso voglioso di possedere Tosca, sino a quando l’orchestra esegue il suo motivo in allargando e sulla penultima battuta coronata, come voluto dal Maestro, il sipario cala. La coesione sinestetico-musicale ci è data ad esempio dal susseguirsi di La sui quali Scarpia canta scendendo verso il Re, nota che si concretizza quale nota fondamentale dell’accordo di re minore dove Tosca sente di essere giunta ad un vicolo cieco e priva di via di scampo confessa. La modernità di quest’opera, dove concatenazioni cromatiche e slittamenti han fatto la “maniera” di Tosca, venne riscontrata anche da René Leibowitz il quale accostó questo lavoro a quelli composti da autori quali Claude Debussy, trovandovi persino somiglianza fra il tema si Scarpia e talune cadenze tratte dalla Kammersymphonie Op. 9 composta nel 1906 da Shömberg, celeberrimo primo rappresentante della dodecafonia. Per le considerazioni ivi esposte si può dunque affermare che Tosca sia un punto di arrivo dell’opera italiana, un esempio virtuoso e resiliente d’opera che supera le diverse luci proiettate dal cambio dei costumi e della società, cambi del gusto estetico gettati dal tempo che, se tanti lavori hanno reso praticamente non più intellegibili in una chiave attuale, rendono d’invero Tosca intramontabile. Centoventitré anni fa la prima, sembrano anni come giorni. Ci vediamo a Taormina per l’opera.
Prof. Daniele Abate